In Australia durante le immersioni i turisti aiutano i biologi a registrare le specie marine del posto per contribuire a preservare i coralli Leggi
Interpretare lo sguardo di Leaundre Dawes-Vaeth dietro le lenti di plexiglas un po’ rigate della sua maschera da sub è piuttosto difficile. Potrebbe voler dire: “È un classico, gli uomini sono incapaci di fare più cose insieme!”. Ma nuotare controcorrente sott’acqua per identificare le specie ittiche prendendo nota di ciascun esemplare con un pennarello in una mano e una lavagna nell’altra non è facile.
Dawes-Vaeth punta il dito e indica un anemone di mare al cui interno vede un pesce pagliaccio, come quello del cartone animato. Alza il pollice come a dire: ottimo per la barriera corallina. Quando vede una stella marina corona di spine , invece, piega il pollice all’ingiù, perché questi animali si nutrono dei coralli dell’ordine delle madrepore e possono piombare sulla barriera come uno sciame di locuste.
Comunque sappiamo che lo sbiancamento si ripeterà, probabilmente all’inizio del 2024, quando in Australia settentrionale è prevista un’ondata di caldo. Pur non essendo l’unica causa, il riscaldamento globale è il fattore principale: “I depositi sedimentari delle rocce, la pesca, il turismo e i nutrienti immessi in acqua dall’agricoltura danno il loro contributo, ma non sono decisivi”, spiega Burns. Anche in passato le barriere coralline subivano delle trasformazioni.
La biobanca può ospitare fino a dodicimila frammenti viventi di tutte e quattrocento le specie locali di madrepore presenti nella Grande barriera corallina. Finora ne è stata già raccolta circa la metà e il progetto dovrebbe concludersi entro il 2026.