La proposta di Assonime in una circolare che analizza le criticità della legge 49/23
Una legge, quella sull’equo compenso, che ha come ratio rafforzare la tutela dei professionisti verso clausole ritenute vessatorie e comportamenti abusivi. Ma che nei fatti rischia di comportare effetti paradossali nell’aumento dei costi, sia per le imprese sia nella Pubblica amministrazione. E di andare contro i principi di libera concorrenza.
Nei giorni scorsi cinque organizzazioni imprenditoriali, Abi, Assonime, Ania, Confindustria, Confcooperative, hanno inviato una lettera al governo sollevando queste controindicazioni e chiedendo un intervento di chiarimento. Sul tema Assonime ha preparato una circolare di 20 pagine, da inviare agli associati e all’esecutivo, con un’analisi puntuale del testo e gli ambiti applicativi, sollevando una serie di criticità.
L’impostazione secondo cui l’ambito di applicazione della legge non riguarda tutti i rapporti contrattuali tra imprese e professionisti, ma solo quelli derivanti da una convenzione, sarebbe per Assonime l’unica coerente con i principi europei in tema di concorrenza e con il criterio costituzionale della ragionevolezza. Altrimenti si avrebbe una reintroduzione nella sostanza del meccanismo delle tariffe minime obbligatorie, e ciò potrebbe essere valutato restrittivo della libera concorrenza.
Questa interpretazione impedirebbe il verificarsi di conseguenze paradossali sulle tariffe: per le società più grandi porterebbe ad aumenti totalmente fuori mercato, anche esorbitanti, mentre per quelle più piccole alcuni compensi sarebbero inferiori rispetto a prima della legge. Per Assonime andrebbero comunque esclusi dall’applicazione i sindaci e i revisori.