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Per ottenere risultati nello sport professionistico, talento e allenamento possono non essere sufficienti, specialmente per mantenersi ad alti livelli. È anche per questo che negli ultimi anni gli atleti hanno iniziato a rivolgersi con maggiore frequenza agli psicologi e ai “coach” con l’obiettivo di prepararsi al meglio anche dal punto di vista mentale cercando di risolvere problemi psicologici che possono condizionare le loro prestazioni.
Un’altra figura professionale piuttosto recente a cui molti atleti si affidano è il coach. Il termine in questo caso non è da intendersi come “allenatore”, ma come il professionista che aiuta a sviluppare la propria personalità e a riuscire nella vita, negli studi, nel lavoro. «Noi ascoltiamo le persone e rielaboriamo con loro gli obiettivi e le strategie per raggiungerli, dividendo ad esempio il percorso in tappe intermedie e più facili da raggiungere prima di arrivare alla meta finale. In questo modo non si crea un rapporto di dipendenza, in cui il professionista si pone in una posizione di guida. Piuttosto il coach e la persona impostano la relazione come una partnership tra due adulti» spiega Miglietta.
Ma in seguito fu lo stesso Phelps a raccontare di aver affrontato gravi problemi di salute mentale nel corso della sua carriera. Nel 2018 l’ex nuotatore ammise di soffrire di depressione sin dal 2004 e che al termine di ogni Olimpiade a cui aveva partecipato i suoi disturbi mentali lo avevano portato ad abusare di alcol e a pensare al suicidio.
Alcuni atleti si confrontano con lo psicologo o il coach appena prima di affrontare una gara, altri preferiscono invece analizzare a posteriori quello che è successo.
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