Vita da medico di famiglia: «Niente ricette via Whatsapp, visite a domicilio per pochi: non sono Amazon. Ma rispondo sempre alle urgenze»

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Cesare, medico di famiglia: «No ricette su Whatsapp, visite a casa per pochi: non sono Amazon»

Cesare Liberali, 34 anni, lavora dal 2020 in una medicina di gruppo a Gaggiano e segue duemila pazienti. «Sei ore di ambulatorio, vedo più di 40 persone al giorno»«No messaggi vocali. No richiesta ricette. Usare mail». Il paziente è subito messo in guardia: il fatto di avere il numero di cellulare del dottore non è un via libera automatico all’invio di messaggi whatsapp a casaccio.

«Macchè… mi rimane tutta la parte amministrativa. Con tutti i disagi degli strumenti informatici che devo usare».«Il portale dell’Inps che non dialoga con quello dell’Inail, che a sua volta non è collegato a quello di noi medici. Per ogni modulo, devo inserire le anagrafiche da capo. E tra ospedale e territorio non c’è una condivisione completa delle informazioni.

«Andiamo dagli allettati, da chi non può muoversi. Certo, i servizi a domicilio hanno molto successo e in tanti vorrebbero la visita a casa, ma non si può estendere a tutti: per ognuna impiego almeno 40 minuti».«Circa 30/35, più sette o otto per i certificati di malattia. A ognuna riesco a dedicare un quarto d’ora».

Gli strumenti digitali, un aiuto o una condanna? Qualche giorno fa un suo collega di Reggio Emilia, andando in pensione, ha letteralmente fatto a pezzi il telefono. «Il numero di contatti via email e whatsapp è aumentato col tempo e ci si aspetta che continui a farlo. Più facile è l’accesso, maggiori sono le richieste. Lo vedo con la piattaforma online per fissare gli appuntamenti. Ma quando cresce la digitalizzazione, una quota dei pazienti resta esclusa. Serve anche un servizio fisico».«Se sono soli e in difficoltà, cerchiamo di aiutarli con il personale di segreteria, o tramite i servizi sociali e le farmacie».

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