Che farebbe la Banca Centrale Europea se non ci fossero segnali di rallentamento dell’economia? Penserebbe probabilmente di non aver fatto un buon lavoro.
Scarsa crescita, margini di profitto in riduzione e rallentamento dei corsi di borsa sono tutti l’inevitabile conseguenza della battaglia contro l’inflazione delle banche centrali europee. E la premessa, si spera, di un definitivo avvicinamento all’agognato traguardo di un’inflazione al due per cento.
Chi guarda con preoccupazione a indici di borsa di inizio vacanze in caduta, dovrebbe invece pensare che é un evento prima o poi inevitabile e non preoccuparsi troppo. Se la Bce è il metronomo dell’economia, finalmente politica monetaria, economia reale e mercati finanziari viaggiano allo stesso tempo. Il problema è che per quanto la Bce imponga l’adagio, l’incertezza continua a regnare sovrana.
Allo stesso tempo ci sono segnali preoccupanti. Il ciclo sta rallentando sia per la graduale moderazione dei consumi interni che delle esportazioni. La Cina non riesce a raggiungere gli obiettivi di crescita attesi. E il rating delle obbligazioni del tesoro americano, il titolo più diffuso e più liquido al mondo, è stato abbassato dall’agenzia Fitch, per l’eccessivo deficit del governo federale. Dunque grandi incertezze globali.
Paradossalmente se l’atterraggio sarà duro o morbido dipenderà anche da quanto siano stati buoni gli investimenti fatti in passato. Se i tassi bassi hanno comunque favorito una sana selezione degli investimenti e ristrutturazioni efficienti, le imprese saranno resilienti e il ciclo non sprofonderà. Se invece la bonanza del denaro facile ha piuttosto alimentato una bolla di investimenti senza un effettivo valore, allora l’atterraggio sarà ben più doloroso.
Comunque sia, è finita l’epoca in cui quando i dati sull’occupazione o sulla crescita erano negativi i mercati azionari festeggiavano e salivano, sperando che il rallentamento inducesse le banche centrali a smetterla di alzare i tassi. Ora i tassi sono dove sono e lì rimarranno per un bel po’.
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